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Revista de Bioética y Derecho

versión On-line ISSN 1886-5887

Rev. Bioética y Derecho  no.42 Barcelona  2018

 

Sección General

Corpo e property rights: limiti e criticità nel bilanciamento tra interessi individuali e collettivi

Cuerpo y derecho de propiedad: problemas y límites en el balance entre intereses individuales y colectivos

Body and property rights: critical issues and limits in the balance between individual and collective interests

Cos i drets de propietat: límits i assumptes crítics en el balanç entre interessos individuals i col·lectius

Silvia Zullo1  , Doctora en Bioética. Investigadora en Filosofía del Derecho del Departamento de Estudios Legales de la Universitá di Bologna, Italia. Questo articolo é derivato da una presentazione realizzata nell'ambito del Seminario di bioetica ispano-italiano "El gobierno del cuerpo humano: entre ciudadanía y mercado", realizzato a Barcellona il 21/4/2017, organizzato nell'ambito del progetto di ricerca "Transferencias de material biológico de origen humano: aspectos sociales, jurídicos y bioéticos". Ref. DER2014-57167-P, IP Dr. Ricardo García Manrique, finanziato dal Ministerio de Economía y Competitividad, Spagna

1Departamento de Estudios Legales de la Universitá di Bologna, Italia

Resumo

Questa analisi prende in esame le principali criticità che nell'attuale dibattito etico e giusfilosofico sono connesse al processo di giustificazione e qualificazione del diritto di proprietà del corpo e delle sue parti, nella tensione tra interessi individuali e interessi collettivi. Le difficoltà risiedono nel considerare proprietà del soggetto quelle parti del corpo, come i campioni biologici, che possono essere ritenute espressione dell'identità biologica del soggetto dal quale provengono, in quanto parti non "autonome o riproducibili", e adottando il modello proprietario, per cui il campione biologico una volta separato dal corpo viene visto come un bene mobile e quindi oggetto di proprietà alla stregua di qualsiasi altro bene, diventa ancor più problematico qualificare la relazione tra corpo, diritto e proprietà dal punto di vista ontologico e normativo. Ciò ha determinato l'esigenza di ripensare concettualmente la definizione dello statuto etico-giuridico del corpo umano e della proprietà delle sue parti, la cui discussione è divenuta imprescindibile nel dibattito contemporaneo.

Parole chiave: corpo; diritto; interesse; property rights; etica

Resumen

Este análisis reflexiona sobre cómo el debate contemporáneo vinculado a los campos de la ética y de la filosofía del derecho ha abordado la problemática de justificar y calificar el derecho a reclamar un interés de propiedad del propio cuerpo y de sus partes. Al abordar este problema, pretendo destacar la tensión que existe entre los derechos individuales y colectivos y el desafío que supone tratar muestras biológicas como propiedad: puesto que dichos tejidos no pueden reproducirse independientemente del individuo del que provienen, y por lo tanto están estrechamente relacionados con la identidad biológica del individuo, así que resulta complejo usarlos como cualquier otra propiedad personal, o "movible". Esto hace necesario elaborar una ontología de la relación entre el cuerpo y la propiedad, a fin de comprender si esta relación apoya normativamente la noción de un derecho de propiedad del cuerpo, repensando así el marco legal y ético del cuerpo humano y sus partes como sujeto de propiedad.

Palabras clave: cuerpo; ley; interés; derechos de propiedad; ética

Abstract

This analysis looks at the way the contemporary debate in ethics and legal philosophy has addressed the problem of justifying and qualifying the right to claim a property interest in the body and its parts. In treating this problem I highlight the tension between individual and collective rights and the challenge of treating something like biological samples as property: since such tissue cannot be reproduced independently of the individual from which it comes, and so is closely bound up with the individual's biological identity, there seems to be something amiss in the idea of using it like any other piece of personal property, or "movable". This makes it necessary to work out the ontology of the relation between the body and property, so as to understand whether this relation normatively supports the notion of a property right in the body, thus rethinking the legal and ethical status of the human body and its parts as subject to ownership.

Keywords: body; law; interest; property rights; ethics

Resum

Aquest anàlisi reflexiona sobre com el debat contemporani vinculat als camps de l'ètica i de la filosofia del dret ha abordat la problemàtica de com justificar i qualificar el dret a reclamar un interès de propietat del propi cos i de les seves parts. Al tractar aquest problema, pretenc destacar la tensió existent entre els drets individuals i col·lectius i el desafiament que suposa tractar mostres biològiques com a propietat: ja que aquests teixits no poden reproduir-se independentment de l'individu del que provenen, i per tant estan estretament relacionats amb la identitat biològica de l'individu, així que resulta complex fer-los servir com a qualsevol altra propietat personal, o "movible". Aquest fet fa necessari elaborar una ontologia de la relació entre el cos i la propietat, amb la finalitat de comprendre si aquesta relació dóna suport normativament a la noció d'un dret de propietat del cos, repensant així el marc legal i ètic del cos humà i de les seves parts com a subjectes de propietat.

Paraules clau: cos; llei; interès; drets de propietat; ètica

1. Corpo, diritto e proprietà: la problematicità di una cornice normativa

Questa analisi muove dall'idea di indagare la portata normativa del concetto di proprietà in relazione al corpo e alle sue parti, ancor meglio si potrebbe dire che si intende prendere in esame le principali criticità che nel dibattito etico e giusfilosofico attuale ruotano attorno al processo di giustificazione e qualificazione del diritto di proprietà del corpo e delle sue parti, nella tensione tra interessi individuali e interessi collettivi1. La questione viene trattata prevalentemente sotto il profilo filosofico-giuridico, ma con riferimento anche al diritto positivo per quel che riguarda le norme giuridiche vigenti, ai casi giurisprudenziali più significativi e alle policy che mostrano il differente quadro normativo applicato nei contesti socio-politici, soprattutto in quello statunitense e in quello europeo, per quel che concerne il tema della qualificazione degli interessi legati ai diritti di proprietà del corpo, che inevitabilmente chiama in causa la questione della commercializzazione di materiale biologico, il concetto di proprietà dei tessuti, la brevettabilità del materiale vivente e la libertà della ricerca scientifica.

Nell'ambito liberal-democratico statunitense, ad esempio, una particolare enfasi viene posta sulla tutela della libertà e della proprietà per quel che riguarda la regolamentazione dei diritti e delle libertà inerenti il corpo e le sue parti, all'interno di una tradizione politica, culturale e sociale che, come è noto, fa leva, per quel che concerne questi temi, sul XIV emendamento del Bill of Rights, sez. 1, per cui (...) nor shall any state deprive any person of life, liberty, or property, without due process of law; nor deny to any person within its jurisdiction the equal protection of the laws2. Tuttavia, come si vedrà dai casi giurisprudenziali più noti circa l'uso del modello proprietario, il binomio libertà-proprietà è stato piegato dalle corti americane al perseguimento di finalità puramente economiche, facendo così pendere l'ago della bilancia esclusivamente dalla parte della ricerca e, dunque, del mercato biotecnologico. La questione della giuridificazione del corpo e delle sue parti, in relazione al modello proprietario, si è delineata in area continentale con l'ingresso del corpo nella cosiddetta scienza biogiuridica sancito dalla "Convenzione europea per la protezione dei diritti umani e della dignità dell'essere umano con riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina" (Oviedo, 1997), all'interno di una cornice normativa che impone il rispetto dell'integrità fisica degli individui e la tutela degli altri diritti e libertà fondamentali in ogni intervento nel campo della salute e della ricerca. Inoltre, circa la raccolta e i possibili utilizzi dei materiali biologici e tessuti umani per la ricerca, la Convenzione stabilisce il principio per cui è lecito l'uso e lo stoccaggio di campioni a condizione che siano fornite adeguate informazioni, che i dati raccolti siano anonimi e che si sia ottenuto un consenso scritto che rappresenta il principio fondamentale riconosciuto a livello internazionale, ripreso anche all'art. 21 della stessa Convenzione dove, peraltro, si dichiara esplicitamente il divieto di trarre profitto dal corpo e dalle sue parti3. Tuttavia, sollevando non poche ambiguità, qui si precisa anche che il materiale prelevato può essere conservato o utilizzato per scopi diversi purchè accompagnato dal consenso informato del donatore. In relazione a questo aspetto è rilevante sottolineare in ambito europeo l'emergere di due concetti chiave, quelli di ordine pubblico e buon costume, che, seppur ambigui, escludono in primo luogo forme di commercializzazione del corpo in virtù della logica della solidarietà sociale, finalizzata alla tutela innanzitutto del bene salute e al riferimento alla persona piuttosto che alla natura intrinseca del corpo, delle sue parti e dei suoi prodotti, come sottolineato anche dall'art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (2000). Sono proprio i due suddetti concetti di ordine pubblico e buon costume a fungere da "precetto" morale nella disciplina brevettuale europea sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologico, con riferimento alla Direttiva n. 98/44 del Parlamento Europeo e del Consiglio d'Europa4 che, nel precisare i limiti della brevettazione del materiale biologico con l'intento di tutelare il corpo umano da ogni forma di sfruttamento, rappresenta parte integrante del dibattitto attuale sullo statuto morale e giuridico dei bodies of law5, in riferimento anche property rights verso il corpo e le sue parti e ai valori della dignità, libertà, solidarietà ed equità.

Che la questione sia molto più complessa di quanto si potesse immaginare agli inizi di tale dibattito, tra il XIX e il XX secolo, dove il richiamo al dualismo cartesiano della rappresentazione persona-corpo sembrava uno schema affidabile e sufficiente a qualificare e delimitare i confini dell'uno e dell'altro, è cosa evidente nel dibattito contemporaneo segnato dal passaggio di paradigma dall'avere un corpo all'essere un corpo6. Le difficoltà nel considerare proprietà del soggetto quelle parti del corpo, come i campioni biologici, che possono essere considerate espressione dell'identità biologica del soggetto dal quale provengono, in quanto non "autonome o riproducibili"7, non sono poche e, adottando il modello proprietario, per cui il campione biologico una volta separato dal corpo viene visto come un "bene mobile" e quindi oggetto di proprietà alla stregua di qualsiasi altro bene, diventa ancor più problematico definire la titolarità del diritto di proprietà del bene stesso e dei diritti della persona ad esso connessi8. Ne deriva che il fenomeno della "scomposizione del corpo" è quello che oggi, da un lato, si coglie con maggiore tangibilità a partire dallo scambio e dall'uso sempre crescente di campioni biologici o prodotti del corpo, quali gameti, sangue, cellule, tessuti, depositati nelle cosiddette biobanche, fino alle pratiche e agli atti di disposizione del corpo e alle richieste in aumento di riconoscimento dei brevetti biotecnologici; dall'altro lato tale fenomeno si è rivelato estremamente complesso e sfuggente alle categorie giuridiche tradizionali, sempre più pressate dall'esigenza di fornire risposte e soluzioni per regolamentare l'enorme flusso di materiali e informazioni derivanti dalla rivoluzione biotecnologica e dalle operazioni di mercato connesse al valore assunto dal cosiddetto biocapitale9. Le maggiori criticità risiedono nel ritenere che la nozione di proprietà in sé possa qualificare lo statuto giuridico del campione biologico, o più in generale le parti separate dal corpo, perché ciò impone di considerare la legittimità dei diritti di proprietà e degli interessi ad essi connessi a partire dalla presa d'atto della dissoluzione dei confini tra res e persona, vale a dire tra proprietà e personalità, affinché si possa inquadrare ontologicamente la "pretesa" a controllare quel bene10. La questione si complica ulteriormente se si considera anche il fatto che i campioni biologici oggi non sono più visti solo come "cose" fisiche, ma come "beni" fisici contenenti dati e informazioni personali e in quanto tali tutelati, come è noto, da norme e regole inerenti i diritti fondamentali della persona quali il diritto alla salute, alla riservatezza e il diritto all'autodeterminazione.

Nel momento in cui le possibilità e opportunità di intervenire direttamente sul corpo e le sue parti, isolandole, manipolandole e conservandole, hanno mostrato la stretta connessione ad un fine duplice, vale a dire l'utilizzo del materiale biologico per scopi di ricerca e la libertà di disporre del proprio corpo e delle sue parti a scopo di profitto, questo fenomeno ha chiamato in causa, in particolare nelle vicende giudiziarie dell'ultimo ventennio, non solo il modello proprietario, ma anche il paradigma della dignità umana e dell'integrità della persona in relazione alle realtà biologiche, in quanto la realizzazione e invenzione di entità biologiche, o perlomeno l'uso del corpo e delle sue parti, hanno determinato un progressivo cambiamento concettuale e normativo, circa la definizione dello statuto etico-giuridico del corpo umano e della proprietà delle sue parti, la cui discussione è divenuta imprescindibile nel dibattito etico e giusfilosofico contemporaneo.

Il corpo, nella sua relazione con la scienza, il diritto e il mercato, si è così candidato alla titolarità di un complesso catalogo di libertà e diritti, che hanno trovato un primo tentativo di sistemazione nelle Carte e Dichiarazioni dei diritti fondamentali e in modo più esigibile nella regolamentazione biogiuridica europea e internazionale. Tuttavia, a fronte delle controversie e dei dilemmi etico-giuridici emergenti, si avverte sempre più l'esigenza di fare chiarezza sullo statuto ontologico dei diritti, delle libertà sul e del corpo, degli interessi della scienza e della persona, sullo sfondo della imprescindibilità del riconoscimento del principio della dignità umana e del diritto all'integrità della persona. In particolare, è proprio il rapporto tra diritto e proprietà in relazione alla materia vivente ad essere in discussione, e nello specifico è il modello antropologico "proprietario" che va ricompreso nelle sue pretese fondazionali, alla luce delle controversie etiche e giusfilosofiche sorte a seguito delle innovazioni tecno-scientifiche e delle invenzioni biotecnologiche.

2. Proprietà del corpo e delle sue parti tra principi, regole e brevetti

L'interpretazione del concetto di proprietà in relazione ai principi di dignità, libertà, solidarietà ed equità gioca un ruolo fondamentale sulle modalità tramite cui il diritto si è evoluto in tema di giuridificazione del corpo e definizione del diritto e dei diritti di proprietà ad esso relativi. In quest'ottica, le dottrine giusfilosofiche sono chiamate a tornare dentro la questione dell'appartenenza del corpo tra diritti della personalità e diritti della proprietà, a fronte dell'inadeguatezza dei criteri decisionali adottati nelle controversie dell'ultimo ventennio che, in ultima istanza, hanno mostrato una sostanziale debolezza normativa circa la comprensione e la portata dello statuto ontologico dei diritti di proprietà relativi al corpo e alle sue parti e la giustificazione delle possibili forme di regolamentazione11. Lo scenario giuridico attuale si è orientato, in taluni casi, su forme di regolamentazione contraddistinte da un eccessivo ricorso al divieto e alla moratoria circa l'utilizzo del corpo e delle sue parti, mentre per altri versi sono state introdotte forme di donazione prive di un inquadramento giuridico opportunamente strutturato in termini di tutele e garanzie, di cui la c.d. donazione "samaritana" costituisce l'esempio più recente nell'ambito dei trapianti di organi12. Comprendere quali ragioni siano alla base degli esiti contradditori e talvolta fuorvianti della regolamentazione di tale materia è un aspetto decisivo per riuscire non solo a qualificare la relazione tra il corpo e le sue parti, ma a definire altresì un framework normativo all'altezza dei problemi emergenti, in termini di principi, norme giuridiche e approcci giurisprudenziali.

Nel dibattito dell'ultimo ventennio le corti e gli ordinamenti giuridici, chiamati a pronunciarsi sui temi in discussione, hanno tendenzialmente reagito alla inadeguatezza degli istituti e dei dispositivi giuridici vigenti agganciando il concetto filosofico-giuridico di proprietà alle nozioni di libertà e dignità, dinanzi all'esigenza di dover decidere se e in che misura gli individui possono disporre del proprio corpo e delle sue parti, a fini di ricerca o a fini di profitto, oppure cederne il controllo a terzi per i medesimi fini. Qui le posizioni emerse in funzione delle molteplici relazioni che legano la persona al proprio corpo si caratterizzano per un significativo tasso di contraddittorietà, incoerenza e diversità di approcci, sebbene sia emerso anche un elemento comune dovuto alle misure precauzionali messe in atto per evitare di esporre l'individuo a rischi di commodification13 del corpo umano. Se da un lato lo statuto ontologico della corporeità è difficilmente riconducibile ad una interpretazione unitaria, tanto dal punto di vista dogmatico quanto dal punto di vista normativo, dall'altro lato l'inquadramento del rapporto persona-corpo ha trovato una sorta di assestamento tramite il principio personalista e il costante riferimento ai valori della dignità della persona e alla tutela della sua "identità", seppure né il legislatore nazionale né tantomeno quello europeo hanno assunto posizioni chiare in materia; invece la distinzione "corpo soggetto" e "corpo oggetto" si è configurata evocando, in ultimo, il ricorso al modello proprietario che, mediante modalità e approcci diversi e talvolta contrastanti, basti pensare alle differenze che in materia intercorrono tra il contesto americano e quello europeo, non si è preoccupato di inquadrare dogmaticamente i property rights nelle relazioni e atti che lo stesso consente di realizzare14.

Nella sentenza del 1908 relativa al caso di Doodeward v. Spence la High Court australiana sosteneva che il corpo umano, o una parte di esso, poteva diventare, dal punto di vista giuridico, oggetto di proprietà di colui al quale appartiene. Nel suddetto caso la Corte aveva applicato il ragionamento lockiano secondo il quale:

"Sebbene la terra e tutte le creature inferiori siano comuni a tutti gli uomini, pure ognuno ha la proprietà della propria persona, alla quale ha diritto nessun altro che lui. Il lavoro del suo corpo e l'opera delle sue mani possiamo dire che sono propriamente suoi. A tutte quelle cose dunque che egli trae dallo stato in cui la natura le ha prodotte e lasciate, egli ha congiunto il proprio lavoro, e cioè unito qualcosa che gli è proprio, e con ciò le rende proprietà sua. Poiché son rimosse da lui dallo stato comune in cui la natura le ha poste, esse, mediante il suo lavoro, hanno, connesso con sé, qualcosa che esclude il diritto comune di altri. Infatti, poiché questo lavoro è proprietà incontestabile del lavoratore, nessun altro che lui può avere diritto a ciò ch'è stato aggiunto mediante esso, almeno quando siano lasciate in comune per gli altri cose sufficienti e altrettanto buone"15.

La Corte d'appello inglese nel 1997 applicò questa linea di ragionamento al caso di R v. Kelly e R v. Lindsay per decretare la non proprietà nel corpo e nelle sue parti laddove queste non erano state alterate con il lavoro di qualcuno che le avrebbe rese di proprietà, tracciando così una linea di continuità di principio con il ragionamento sotteso alla sentenza australiana. Il sistema dei brevetti ha sancito definitivamente l'affermarsi di questa logica, originatosi proprio dall'idea di ricompensare gli sforzi innovativi e creativi mediante il riconoscimento dei cosiddetti intellectual property rights16 nella forma di brevetti biotecnologici, la cui creazione deriva in qualche modo da un grado di sforzo e di invenzione dell'essere umano, dello scienziato, come nel noto e si potrebbe dire pionieristico caso Diamond v. Chakrabarty (1980)17.

Alla fine degli anni Ottanta già diverse sentenze delle Corti statunitensi avevano espresso un parere favorevole al rifiuto di una presunzione della proprietà sul corpo dinanzi a casi controversi, che avevano segnalato la mancanza di un quadro di principi e norme coerenti in grado di governare con equilibrio gli interessi dei singoli e della società sul corpo e sulle sue parti, come accade con la nota sentenza Moore v. Regents (1990), dove si nega il riconoscimento al soggetto della titolarità dei diritti di proprietà sul proprio corpo e sulle sue parti, nella fattispecie sulla sua milza contenente una linea cellulare particolarmente rara, mentre si concede il riconoscimento del brevetto a coloro che avevano derivato nuove invenzioni dallo studio delle linee cellulari generate dalla milza del signor Moore.

I suddetti casi, oramai divenuti paradigmatici, mostrano, per certi versi, esiti incoerenti, riconducibili non solo al riconoscimento o meno dell'esistenza della nozione di proprietà accanto alle nozioni di libertà e autodeterminazione, ma anche all'ambiguità e non chiarezza dei criteri e parametri di giudizio adottati dinanzi ai rapporti tra queste nozioni, per cui si assegna al corpo uno stato giuridico di titolarità di diritti e simultaneamente gli si attribuisce lo status di oggetto di proprietà e di contratto. Ciò è accaduto non solo per il caso Moore, ma anche per altri casi statunitensi recenti, quali Greenberg v. Miami Children's Hospital (2003) e Washington University v. Catalona (2005)18, dove è stata in parte affrontata la questione dello statuto giuridico dei campioni biologici impiegati ai fini di ricerca. In realtà soltanto il più recente caso Washington University v. Catalona (437 F. Supp. 2d 985 E.D. Missouri 2006) si è occupato propriamente dello statuto giuridico dei c.d. raw materials volontariamente donati, in quanto i precedenti casi Moore v. Regents e Greenberg v. Miami Children's Hospital, pur avendo trattato del tema, si sono poi concentrati sul profilo della trasformazione del materiale grezzo e della sua commercializzazione mediante brevetto.

Ad ogni modo anche dai casi più recenti emerge una contraddizione di fondo: da un lato, vi è una tutela giuridica che fa capo a una dottrina molto estesa e diffusa circa la protezione accordata alla proprietà intellettuale del corpo e alle modalità di concessione dei brevetti sui geni o su linee cellulari da parte di scienziati, enti di ricerca, università o enti privati, dall'altro lato vi è una scarsità di tutele e garanzie per quel che concerne il corpo come "materiale grezzo" verso cui il soggetto rivendica forme di controllo. Approssimativamente una delle ragioni di tale situazione viene rintracciata nella distinzione, poco funzionale in termini giustificativi, tra parti fisiche del corpo e proprietà intellettuale del corpo, per cui le parti (fisiche) del corpo sono viste come materia grezza, mentre i geni o le linee cellulari sono qualificati come materia da lavorare attraverso l'uso della tecnica19. Nello specifico, i casi sopra menzionati mettono in evidenza una fallacia nei diversi paradigmi giusfilosofici adottati alla base delle pronunce e decisioni giurisprudenziali: il corpo in sé non è trattato come proprietà, ma poi la logica delle scelte e decisioni delle corti, che esplicitamente dichiarano come il corpo non sia proprietà privata in possesso dei soggetti querelanti, è quella di trattare le parti staccate dal corpo tramite la categoria della proprietà, in quanto suscettibili di essere catturate da chi ne coglie il valore commerciale e produttivo, a difesa dell'azione e dell'operato degli scienziati, che nel caso Moore avevano creato la Mo cell line e nel caso Greenberg avevano isolato il gene della Canavan's disease20. In poche parole, "configurando gli usi secondari come una contrapposizione tra privacy e proprietà", la Corte californiana "ha generato il doppio destino dei materiali biologici, ambiguamente concepiti sotto il segno dell'autonomia, ma anche della volontà implicita di abbandono (res derelictae), per chi li dona; e come res nullius, e possibile sostrato di un'opera dell'ingegno brevettabile, per chi li acquisisce"21.

Nel caso Moore la Corte sottolinea una distinzione tra il punto di vista materiale e quello legale, vale a dire tra il tessuto e la successiva creazione della linea cellulare, per poi riconoscere che la proprietà immateriale viene legittimamente attribuita mediante brevetto all'autore dell' "invenzione", senza considerare che il medesimo argomento lo si può applicare anche alla questione dell' "autore" del materiale biologico originario. La Corte invece nega che il signor Moore possa vantare diritti di proprietà sul suo materiale biologico, assegnando tale diritto ai ricercatori e riconoscendo al paziente solo l'esercizio del suo diritto all'autodeterminazione mediante il consenso informato22.

3. Profili etici e giusfilosofici

Le suddette pronunce mostrano più o meno esplicitamente come le soluzioni adottate sino ad oggi circa le ricerche sui materiali biologici rimangono parziali e le argomentazioni addotte non appaiono del tutto soddisfacenti rispetto alla questione etica e giusfilosofica di definire lo statuto del corpo nella relazione con le sue componenti e individuare modelli normativi per regolarne i rapporti con l'individuo e la società.

La distinzione tra ciò che è materia grezza e ciò che invece ricade nell'ambito della proprietà intellettuale è servita in taluni casi e contesti a giustificare la diversità di statuto del regime proprietario da applicare al corpo e alle sue parti, ma non può essere ritenuta una soluzione adeguata a fornire supporto a strumenti normativi su questi temi. D'altra parte, il valore utilitaristico e commerciale dei materiali biologici appare di gran lunga dominante nell'evoluzione dei rapporti tra scienza e diritto rispetto alle titolarità di interessi e valori rivendicati dal soggetto che possiede il corpo e le sue parti, perlomeno nel contesto americano dove sembra prevalere l'interesse dell'opera scientifica e commerciale, e solo in alcuni casi i brevetti biotecnologici rimangono "proprietà comune" tra l'individuo, da cui provengono le componenti biologiche, la comunità scientifica e la sfera commerciale o industriale. Il caso Greenberg dimostra, a riguardo, come anche l'ipotesi sempre più frequente di una compartecipazione attiva dei donatori, basata sullo strumento del consenso e, dunque, sulla volontaria donazione dei propri tessuti al fine di realizzare un "progetto comune", rilevi numerosi problemi quando non siano chiaramente definite le posizioni delle parti23.

Le corti, argomentando sui casi Moore e Greenberg, sottolineano che il paziente/donatore non può esercitare alcun diritto di proprietà sulle proprie parti del corpo, una volta che esse, dopo il distacco, siano state destinate alla ricerca medica, al fine di garantire il buon funzionamento delle biobanche e delle ricerche. In tal senso, anche quest'ultima pronuncia dimostra come le corti americane abbiano privilegiato il modello proprietario facendo pendere l'ago della bilancia esclusivamente dalla parte della ricerca e, dunque, del mercato biotecnologico, ma ciò non può essere considerato un modello condivisibile ai fini di un contemperamento degli interessi in conflitto. D'altra parte la tensione costante del dibattito su questi temi è dovuta proprio all'opportunità o meno di continuare ad estendere il discorso proprietario al corpo e alle sue componenti, laddove le vicende giudiziarie menzionate hanno evidenziato le lacune e insufficienze normative derivate dall'applicazione e interpretazione delle "ontologie proprietarie" materiali e intellettuali, mediante le forme del dono, del brevetto e dell'abbandono (res derelictae).

Il contesto europeo non è esente dalle problematiche che conseguono se si fa derivare la qualificazione normativa della categorie dei diritti individuali dal modello del diritto di proprietà e si è trovato ad affrontare diverse controversie giudiziarie negli ultimi anni, ma con un atteggiamento molto più cauto verso il linguaggio proprietario rispetto a quello adottato nel contesto statunitense. La Corte di Giustizia dell'UE ha espressamente riconosciuto che il diritto all'integrità umana include il diritto della persona di poter esprimere il proprio consenso libero e informato all'uso del suo materiale biologico e delle sue parti del corpo, in armonia con l'art. 3 della Carta europea dei diritti fondamentali; d'altra parte, però, ha respinto la rilevanza di questo diritto dinanzi alle questioni legate alla brevettabilità, vale a dire che questo diritto sarebbe mal posto se interpretato contro la direttiva europea sui brevetti biotecnologici (98/44/EC), in particolare per quel che riguarda l'attività di ricerca scientifica e l'uso di brevetti, rispetto ai quali le recenti vicende del caso Oliver Brüstle v. Greenpeace danno conto di una situazione normativa alquanto confusa e ambigua24.

Sebbene, ad esempio, la Corte di Giustizia dell'UE abbia di recente ristretto l'ambito di protezione dei brevetti sui geni (Monsanto v. Cefetra)25, per cui i gene patents possono essere estesi solo a sequenze di geni in grado di mostrare potenzialità funzionali allo scopo per cui sono stati brevettati, tuttavia ciò non impedisce a colui che detiene il brevetto di rafforzare i suoi diritti di esclusiva in modo che l'accesso alle sue invenzioni sia il più possibile ristretto. A riguardo, giova sottolineare, che il diritto alla salute in quanto diritto (umano) fondamentale della persona richiede che i brevetti biotecnologici non siano strumentalizzazioni al fine di impedire ai cittadini un equo e ragionevole accesso in termini di assistenza e cure, per cui non pare fuori luogo sostenere che rientra nel potenziale trasformativo dei diritti umani restringere l'esercizio dell'esclusiva brevettuale nel rendere certe componenti del corpo umano a disposizione del bene comune, come pubblica proprietà, cui si oppone un ragionevole diritto di accesso pubblico. Nel connettere e intrecciare interessi di natura privata e pubblica il brevetto assume un ruolo strategico, tant'è vero che la difficoltà e allo stesso tempo la debolezza normativa di questo strumento risiede proprio nelle conseguenze della sua applicazione in termini di (mancato) bilanciamento di interessi. In quest'ottica la Direttiva del 2004/23/UE intendeva regolamentare l'azione del mercato nell'ambito degli usi terapeutici dei tessuti umani e della loro trasformazione in prodotti farmaceutici26, nel rapporto con lo spazio sociale e civico che avrebbe dovuto essere contraddistinto dalla coproduzione e integrazione, ma che in ultima istanza si è configurato secondo due categorie separate, quella dei cittadini tenuti a donare gratuitamente e per fini solidali i loro tessuti e quella dell'industria farmaceutica che immette i prodotti sul mercato. Se i principi di dignità, solidarietà e gratuità dovevano ridisegnare la filosofia del corpo politico europeo e definire l'identità del "cittadino-donatore europeo", di fatto, la situazione negli ultimi dieci anni si è evoluta diversamente perché a fronte dell'altruismo solidale dei cittadini si è assistito allo sviluppo di un mercato farmaceutico e biotecnologico competitivo da cui l'individuo, a partire dall'atto della donazione, viene espropriato per poi essere riabilitato come "soggetto consumatore" di terapie avanzate.

Ciò impone un ripensamento dell'applicazione del modello proprietario le cui ricadute sono evidenti anche a livello comunitario, dove il regime brevettuale offre tutele limitate alla persona, in considerazione della rilevanza dei principi del rispetto della dignità e integrità umana propagandata dal Consiglio d'Europa in tema di diritti umani e biomedicina. Inoltre il richiamo ai diritti fondamentali della persona in questo ambito dovrebbe incrementare altresì il dibattito sui moral intellectual property rights, spostando l'asse delle questioni dalla tecnica in sé, ovvero dall'invenzione e sua relativa applicazione, alle implicazioni sulle tutele e garanzie dei diritti e interessi legati al corpo e alle sue componenti27.

4. Considerazioni conclusive: alcuni (non) argomenti circa la giustificazione dei property rights

In termini normativi la giustificazione dei property rights come body rights viene tendenzialmente ricondotta a posizioni divise sul fatto di rintracciare la ragion d'essere di tali diritti in funzione di interessi o individuali o collettivi28. I property rights in alcune situazioni sono tali da tutelare interessi di tipo individuale, la cui rilevanza è incompatibile con il loro essere massimizzati e aggregati in modo interpersonale, invece in altre circostanze questi diritti sono semplicemente strumentali al fatto di assicurare la tutela di interessi collettivi, vale a dire benefici che servono per promuovere una sorta di benessere collettivo, come ad esempio l'avanzamento della ricerca scientifica. Certi diritti di proprietà riguardanti il corpo sono riconducibili prevalentemente a interessi di tipo individuale, si pensi al diritto di autodeterminazione per quel che concerne le scelte di fine vita sull'interruzione o non attivazione di cure e trattamenti salvavita. Tuttavia vi sono anche diritti di proprietà concernenti il corpo e le sue componenti non riconducibile né totalmente nell'alveo degli interessi individuali né in quello degli interessi collettivi, si pensi alla pratica della gestazione per altri in cui l'utilizzo del corpo può rispondere ad un interesse tanto individuale (ottenere un compenso) quanto collettivo (far fronte al problema della sterilità). Ciò detto nulla rileva al fine di giustificare la nozione di proprietà da un punto di vista morale e normativo, vale a dire la sua funzione prescrittiva nel configurare diritti e interessi verso il corpo e le sue parti. D'altra parte non è neppure possibile accettare la nozione di proprietà come semplicemente assunta nella giustificazione dei diritti del corpo come diritti di proprietà, dal momento che i diritti del corpo hanno a che fare con ragioni sia individuali che collettive, o per meglio dire con interessi di entrambe le nature: sullo sfondo della cultura e retorica neoliberale questi diritti intersecano anche ragioni consequenzialiste o comunitariste e non necessariamente sono riconducibili entro i soli confini della tradizione neoliberale. Peraltro molti diritti del corpo in quanto diritti di proprietà sarebbero meglio giustificati se funzionali a interessi collettivi piuttosto che individuali, vale a dire nell'ottica dei risultati che producono per la più ampia comunità di cui l'individuo è parte.

Un ulteriore argomento a supporto dell'estensione della logica proprietaria al corpo e alle sue parti è quello che si rifà alla scarsità di risorse, poiché dove non c'è abbastanza di un bene perché tutti possano averne, non può essere vero che tutti hanno diritto a riceverne una parte uguale29. Infatti coloro che continuano ad invocare l'applicazione del modello proprietario ritengono, in un'ottica strumentale, che tale approccio sia l'unico in grado di assicurare in maniera stabile il controllo e la gestione di risorse scarse e di così vitale importanza in quanto, pur riconoscendo le attuali difficoltà legate alla regolamentazione normativa del corpo e dei materiali biologici, il ricorso a tale paradigma se perfezionato permetterà di far riferimento ad un assetto di regole ben definito, in grado non soltanto di dirimere situazioni di conflitto su quali diritti si trasferiscano e quali no, ma anche di individuare gli strumenti di tutela necessari a risolvere alcune delle problematiche che il modello del consenso informato da solo non sarebbe in grado di risolvere.

Di certo il tema della scarsità di risorse condiziona da vicino la normativa sui diritti di proprietà e ha avuto ripercussioni anche sulle argomentazioni adottate dalle varie corti per attribuire o meno garanzie di riconoscimento di tali diritti alle differenti parti chiamate in giudizio. Si pensi al caso Washington University v. Catalona dove, a fronte della richiesta del dott. Catalona di potersi riappropriare dei campioni collezionati attraverso donazioni dei pazienti per trasferirli in un'altra Università e servirsene a suo piacimento, la Washington University avanzava un diritto di proprietà su questo stesso materiale, anche in relazione alla limitata disponibilità di questa tipologia di campioni. La Corte, nel dichiarare che quando un paziente ha donato il materiale ha anche trasferito i suoi titoli di proprietà, riconosce la Washington University quale legittima proprietaria, anche se va detto che la dottrina si è divisa sul caso Catalona non in relazione alla proprietà in sé, ma proprio sulla questione di individuare il legittimo proprietario.

Considerati i suddetti limiti e le criticità emerse nell'inquadramento normativo di questa materia, la logica delle categorie proprietarie applicate al corpo impone un ripensamento fondazionale in ragione del fatto che il diritto di proprietà, che si applica a oggetti e beni materiali immobili come l'automobile e il denaro, ha prodotto sino ad oggi esiti incoerenti e contraddittori nel "non giustificare" il rapporto tra l'individuo e le sue componenti biologiche. Il modello proprietario non si è rivelato affatto dirimente nella comprensione dei significati inerenti il controllo del nostro corpo e delle sue parti e per superare la semplicistica interpretazione che vede schierati da un lato il soggetto che decide e dall'altro lato l'oggetto di cui si vuole disporre. Ripensare il principio del controllo del proprio corpo significa dunque ripensare anche la natura relazionale, ambigua e complessa, con i valori dell'autonomia e dell'autodeterminazione personale e con il riconoscimento dei doveri che chiamano in causa il ruolo della società e delle istituzioni, poiché il corpo non è solo una dimensione intima e personale, ma è anche ciò che ci rappresenta nella società con altri ed è pertanto soggetto a pratiche, interpretazioni, doveri e responsabilità connessi alla sua dimensione pubblica e sociale. Ne deriva che "(...) sarebbe mistificatorio relegare le questioni implicate a meri problemi di etica individuale o di "coscienza". Quello che facciamo dei nostri corpi, come li trattiamo e il modo in cui ne parliamo decidono in fin dei conti il tipo di società in cui vogliamo vivere e il tipo di relazioni che vogliamo avere con le altre persone"30. Le cose si complicano e le difficoltà emergono quando si ragiona sulle politiche e sul diritto che una società democratica dovrebbe attuare per garantire e applicare il principio del controllo sul corpo e sulle sue parti proprio perché la questione verte attorno alla ricerca di un equilibrio continuamente minacciato dal rischio di rimozione della necessaria dimensione pubblica e responsabilità sociale, circa il trattamento che vogliamo riservare ai nostri corpi e alle loro parti, per privilegiare interessi e relazioni di natura privata.

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28. ZATTI P (2008). Maschere del diritto volti della vita. Milano: Giuffré. [ Links ]

1In questo lavoro il riferimento al corpo e ai diritti di proprietà è da intendersi non in chiave strettamente giuridica, piuttosto in una dimensione ontologico-normativa, vale a dire nel rapporto che in termini fondazionali lega i soggetti con il materiale biologico prelevato da essi.

2Cfr. https://www.law.cornell.edu/constitution/amendmentxiv.

3Council of Europe, Convention for the Protection of Human Rights and Dignity of Human Being with regard to the Application of Biology and Medicine: Convention on Human Rights and Biomedicine, https://rm.coe.int/168007d003.

4Dir. N. 98/44/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa alla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, 6 luglio 1998. http://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=celex%3A31998L0044. Art. 5 Comma 1: Il corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo, nonché la mera scoperta di uno dei suoi elementi, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, non possono costituire invenzioni brevettabili; Comma 2: Un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, può costituire un'invenzione brevettabile, anche se la struttura di detto elemento è identica a quella di un elemento naturale; Art. 6 "Sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all'ordine pubblico o al buon costume; lo sfruttamento di un'invenzione non può di per sé essere considerato contrario all'ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto che è vietato da una disposizione legislativa o regolamentare". Ai sensi del paragrafo 1 art. 6, sono considerati non brevettabili in particolare: a) i procedimenti di clonazione di esseri umani; b) i procedimenti di modificazione dell'identità genetica germinale dell'essere umano; c) le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali; d) i procedimenti di modificazione dell'identità genetica degli animali atti a provocare su di loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l'uomo o l'animale, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti.

5Cfr. A. Hyde, Bodies of Law, Princeton N.J., Princeton University Press, 1997.

6Cfr. P. Zatti, Maschere del diritto volti della vita, Milano, Giuffré, 2008, 65.

7Qui il riferimento è alla distinzione con alter parti del corpo, ovvero quelle che possono essere considerate beni commerciabili come i capelli, che si possono rigenerare e non incidono sull'identità della persona, e quelle parti come gli organi che hanno capacità funzionale propria e per i quali il donatore nel momento in cui firma il consenso per l'espianto perde la possibilità di gestire il suo bene.

8Cfr. R. Alta Charo, Body of Research - Ownership and Use of Human Tissue, in "New England Journal of Medicine", 355, 2006, 1517-1519; R. Rao, Genes and Spleens: Property, Contract, or Privacy Rights in the Human Body?, in "The Journal of Law, Medicine & Ethics", 3, 2007, 371-382.

9Cfr. N. Rose, La politica della vita. Biomedicina, potere e soggettività nel XXI secolo, Torino, Einaudi, 2008.

10Cfr. V. Marzocco, 'Dominium sui'. Il corpo tra proprietà e personalità, Napoli, Editoriale Scientifica, 2012, cap. 2.

11Sulla teoria dei diritti di proprietà in ambito giusfilosofico si vedano: A.M. Honoré, Ownership, Oxford Essays in Jurisprudence, in Guest AG (eds.), Oxford, 1961; D. Patterson, Philosophy of Law and Legal Theory. An Anthology, Oxford, 2003, 295-321; L. Ferrajoli, Proprietà e libertà, in AA.VV., Proprietà, Parole chiave, 30, 2003, 13-29. Sul tema del corpo e dei diritti di proprietà si vedano: S. Douglas - B. McFarlane, Defining Property Rights, in Philosophical Foundations of Property Law, in J. Penner ad H. Smith (eds), Oxford, 2013; E.R. Gold, Body Parts: Property Rights and the Ownership of Human Biological Materials, Washington, Georgetown University Press, 1998.

12Il dono di sé è disciplinato in numerose Carte sovranazionali come è specificato negli articoli 19 e 22 della Convenzione sui diritti dell'Uomo e la biomedicina di Oviedo, e nell'articolo 3, comma 2.3, della Carta di Nizza.

13Cfr. H. Marway, S.L. Johnson, H. Widdows, Commodification of Human Tissue, in H. A.M.J. ten Have, B. Gordijn (eds.) Handbook of Global Bioethics, Dordrecht, Springer, 2014.

14Cfr. S. Douglas-B. McFarlane, Defining Property Rights, in Philosophical Foundations of Property Law, cit.; I. Gools, E. K. Quigley, Human Biomaterials: the case for a property approach, in Person, Parts and Property. How Should We Regulate Human Tissue in the 21st Century?, Oxford, Hart Publishing, 2014.

15Cfr. J. Locke, Due trattati sul governo, a cura di L. Pareyson, Torino, Utet, 2010, 247-263.

16Cfr. J. Pila, Intellectual property rights and detached human body parts, in "Journal of Medical Ethics", 40, 2014, 27-32.

17U.S. Supreme Court. Diamond v. Chakrabarty, 447 U.S. 303 (1980). Diamond v. Chakrabarty. No. 79-136. Si tratta della sentenza con cui la Corte Suprema degli Stati Uniti per la prima volta concesse il permesso di brevettare organismi geneticamente modificati. Chakrabarty era riuscito, tramite tecniche di ingegneria genetica, a modificare un batterio per renderlo capace di degradare i prodotti del petrolio. La Corte Suprema decise che l'invenzione era brevettabile visto che si trattava del prodotto dell'ingegno umano, benché materia vivente.

18Cfr. United States District Court, Southern District of Florida, 29 maggio 2003, Greenberg v. Miami Children's Hospital Research Institute; United States District Court, E.D. Missouri, Eastern Division, 31 marzo 2006, Washington University v. Catalona.

19Un altro caso noto a riguardo è quello della società privata americana Myriad Genetics che scopre nel 1990 la sequenza di due geni (BRCA1 e BRCA2) e nel 1995 mette a punto dei test per la identificazione delle loro mutazioni, richiedendo poi la brevettabilità del test per le mutazioni di questi due geni. Contro la richiesta di brevetto fece ricorso alla corte distrettuale di New York un consorzio di medici, genetisti, ricercatori, associazioni femminili e donne malate di cancro al seno. Nel 2009 la Corte Distrettuale di New York rigetta la richiesta di brevetto sostenendo che non è possibile brevettare un prodotto già esistente in natura. Infatti, uno degli aspetti più problematici della vicenda riguarda proprio la difficoltà nel fissare una linea di confine chiara tra quello che può essere considerato una "scoperta" e ciò che può dirsi una "invenzione", in quanto la possibilità di ottenere un brevetto dipende proprio dal fatto che ciò per cui si richiede la brevettabilità venga considerato prodotto dall'uomo, dunque un'invenzione, oppure qualcosa già esistente in natura, dunque una scoperta. Myriad fa ricorso in appello contro la sentenza della Corte Distrettuale. Nel 2013 la Corte Suprema americana sancisce all'unanimità che i brevetti sui geni non sono ammissibili perché i geni esistono in natura e non possono essere brevettati per il semplice fatto che si è inventato un metodo per isolarli.

20Nel caso Greenberg v. Miami Children's Hospital (264 F. Supp. 2d 1064 S.D. Fla. 2003) i giudici, che riprendono in buona parte le argomentazioni formulate nel caso Moore, hanno a che fare con la donazione volontaria da parte dei coniugi Greenberg al dott. Matalon e all'ospedale infantile di Miami di tessuti ed altri campioni biologici prelevati dai loro figli affetti dal morbo di Canavan, una malattia genetica caratterizzata da progressiva degenerazione cerebrale. Scopo della donazione era quello di individuare e isolare il gene responsabile della malattia, al fine di realizzare un test diagnostico a basso costo a disposizione del pubblico. Tuttavia il ricercatore, scoperto il gene responsabile della malattia, ottiene il brevetto sul gene e i coniugi Greenberg agiscono in giudizio, contestando la violazione del rapporto fiduciario tra medico e pazienti, nonchè la mancata richiesta del consenso informato circa l'appropriazione indebita dei materiali. La Corte Distrettuale della Florida, seguendo la stessa logica del caso Moore, risolve la controversia valutando esclusivamente la proprietà immateriale derivante dal brevetto e ignora la possibilità di una condivisione dei benefici economici tra ricercatori e pazienti.

21Cfr. M.C. Tallacchini, Dalle biobanche al "Genetic social networks". Immaginari giuridici e regolazione di materiali biologici e informazioni, in "Materiali per una storia della cultura giuridica", 1, 2013, 157-182, 162.

22Questo passaggio, come è noto, ha segnato in ambito statunitense, e più in generale nel dibattito internazionale sul rapporto tra scienza, diritti individuali e democrazia, la dicotomia tra autonomia e privacy da un lato e proprietà dall'altro, vale a dire tra individui e scienza/industria, in quanto ai primi viene riconosciuto il diritto all'autodeterminazione e alla privacy e ai secondi le condizioni economiche per la realizzazione del progresso nella ricerca. Cfr. S. Jasanoff, The Ethics of Invention. Technology and the Human Future, New York, W.W. Norton & Company, 2016; S. Jasanoff, Science and Public Reason, New York, Routledge 2012; R. Hardcastle, Law and Human Body. Property Rights, Ownership and Control, Oxford, Hart Publishing, 2007.

23La questione emerge nel caso Washington University v. Catalona (437 F. Supp. 2d 985 E.D. Missouri 2006), avente ad oggetto il conflitto tra donatori, ricercatori e "terze parti". La vicenda vede protagonista il dott. Catalona della Washington University che aveva raccolto e conservato presso la biobanca dell'Università un'ampia quantità di campioni biologici, parte dei quali donati dai propri pazienti, malati di cancro alla prostata. Quando nel 2003 il dottor Catalona decide di trasferirsi presso la Northwestern University di Chicago, si vede negata la richiesta di restituzione dei campioni conservati e ricontatta i pazienti, chiedendo loro di inoltrare alla Washington University una certificazione nella quale si chiede il trasferimento dei loro campioni al dott. Catalona, in quanto a lui li avevano donati in via fiduciaria. A questo punto l'Università di Washington agisce in giudizio al fine di accertare che la proprietà dei campioni biologici spetti ad essa. La Corte del Missouri accoglie la richiesta sostenendo che il trasferimento dei campioni biologici alla biobanca è atto di donazione irreversibile, nonostante la possibilità di ritirare in qualsiasi momento il consenso, cui però non corrisponde un effettivo diritto di controllare i trasferimenti dei propri campioni.

24Con la sentenza Brüstle (2011) la Corte di Giustizia ha affrontato una delicata questione interpretativa della direttiva n. 98/44/CE sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. Il giudice comunitario in questo caso è chiamato a esaminare in appello la domanda proposta dalla Greenpeace eV, una associazione senza scopo di lucro, per l'annullamento del brevetto tedesco già detenuto dal Sig. Brüstle. La Corte rigetta il brevetto sulla base del fatto che questo aveva ad oggetto il trattamento di cellule staminali embrionali, il cui prelievo su un embrione umano nello stadio di blastocisti comporta la distruzione dell'embrione. In questo caso, infatti, vi sarebbe una utilizzazione di embrioni umani vietata dall'art. 6, comma 2, lett. c), della dir. n. 98/44/CE. Il 18 dicembre 2014 la Corte di giustizia dell'Unione europea torna a pronunciarsi sulla questione relativa alla definizione di "embrione umano". Infatti, mentre nella sentenza Brüstle si definisce come "embrione umano" anche un ovulo umano che è stato indotto a dividersi e a svilupparsi attraverso partenogenesi, nel 2014, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, la Corte rileva che un partenote umano non è in grado di dare inizio al processo di sviluppo che conduce alla formazione di un essere umano. Pertanto, nel caso di partenote umano puro, spetterà al giudice nazionale verificare se, alla luce delle comprovate conoscenze medico-scientifiche, questo abbia o meno la capacità intrinseca di svilupparsi in esseri umani. In conclusione, la Corte di giustizia dichiara qualcosa di diverso rispetto al 2011, a testimonianza della difficoltà di maneggiare una materia così sfuggente e complessa, e conclude che l'art. 6, par. 2, lett. c) della direttiva 98/44/CE deve essere interpretato nel senso di escludere dal concetto di "embrione umano" l'ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi qualora, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, esso sia privo, in quanto tale, della capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano, circostanza poi che spetterà al giudice nazionale stabilire.

25http://curia.europa.eu/juris/liste.jsf?language=en&num=C-428/08 Cfr. M. Rimmer, A. McLennan, Intellectual Property and Emerging Technologies, UK, E.E., 2012; M.A. Kock, Purpose-bound protection for DNA sequences: in through the back door?, in "Journal of Intellectual Property Law & Practice", 5, 2010, 495-513.

26Cfr. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2004:102:0048:0058:it:PDF.

27Cfr. A. George, Is 'Property' Necessary? On Owning the Human Body and its Parts, in "Res Publica", 10, 2004, 15-42.

28Cfr. R. Cruft, Against Indivisualistic Justification of Property Rights, in "Utilitas", 2, 2006, 154-172.

29D. Hume, Ricerche sui principi della morale, Roma-Bari, Laterza, 1987, parte III. Cfr. S. Douglas, The Argument for Property Rights in Body Parts: Scarcity of Resources, in "Journal of Medical Ethics", 40, 2014, 23-26.

30Cfr. V. Ottonelli, Il corpo come soggetto di diritti, in "il Mulino", 4, 2017, 547-555, 554.

Received: July 30, 2017; Accepted: September 02, 2017

Correspondencia: Silvia Zullo E-mail: silvia.zullo@unibo.it

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