1. Corpo, diritto e proprietà: la problematicità di una cornice normativa
Questa analisi muove dall'idea di indagare la portata normativa del concetto di proprietà in relazione al corpo e alle sue parti, ancor meglio si potrebbe dire che si intende prendere in esame le principali criticità che nel dibattito etico e giusfilosofico attuale ruotano attorno al processo di giustificazione e qualificazione del diritto di proprietà del corpo e delle sue parti, nella tensione tra interessi individuali e interessi collettivi1. La questione viene trattata prevalentemente sotto il profilo filosofico-giuridico, ma con riferimento anche al diritto positivo per quel che riguarda le norme giuridiche vigenti, ai casi giurisprudenziali più significativi e alle policy che mostrano il differente quadro normativo applicato nei contesti socio-politici, soprattutto in quello statunitense e in quello europeo, per quel che concerne il tema della qualificazione degli interessi legati ai diritti di proprietà del corpo, che inevitabilmente chiama in causa la questione della commercializzazione di materiale biologico, il concetto di proprietà dei tessuti, la brevettabilità del materiale vivente e la libertà della ricerca scientifica.
Nell'ambito liberal-democratico statunitense, ad esempio, una particolare enfasi viene posta sulla tutela della libertà e della proprietà per quel che riguarda la regolamentazione dei diritti e delle libertà inerenti il corpo e le sue parti, all'interno di una tradizione politica, culturale e sociale che, come è noto, fa leva, per quel che concerne questi temi, sul XIV emendamento del Bill of Rights, sez. 1, per cui (...) nor shall any state deprive any person of life, liberty, or property, without due process of law; nor deny to any person within its jurisdiction the equal protection of the laws2. Tuttavia, come si vedrà dai casi giurisprudenziali più noti circa l'uso del modello proprietario, il binomio libertà-proprietà è stato piegato dalle corti americane al perseguimento di finalità puramente economiche, facendo così pendere l'ago della bilancia esclusivamente dalla parte della ricerca e, dunque, del mercato biotecnologico. La questione della giuridificazione del corpo e delle sue parti, in relazione al modello proprietario, si è delineata in area continentale con l'ingresso del corpo nella cosiddetta scienza biogiuridica sancito dalla "Convenzione europea per la protezione dei diritti umani e della dignità dell'essere umano con riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina" (Oviedo, 1997), all'interno di una cornice normativa che impone il rispetto dell'integrità fisica degli individui e la tutela degli altri diritti e libertà fondamentali in ogni intervento nel campo della salute e della ricerca. Inoltre, circa la raccolta e i possibili utilizzi dei materiali biologici e tessuti umani per la ricerca, la Convenzione stabilisce il principio per cui è lecito l'uso e lo stoccaggio di campioni a condizione che siano fornite adeguate informazioni, che i dati raccolti siano anonimi e che si sia ottenuto un consenso scritto che rappresenta il principio fondamentale riconosciuto a livello internazionale, ripreso anche all'art. 21 della stessa Convenzione dove, peraltro, si dichiara esplicitamente il divieto di trarre profitto dal corpo e dalle sue parti3. Tuttavia, sollevando non poche ambiguità, qui si precisa anche che il materiale prelevato può essere conservato o utilizzato per scopi diversi purchè accompagnato dal consenso informato del donatore. In relazione a questo aspetto è rilevante sottolineare in ambito europeo l'emergere di due concetti chiave, quelli di ordine pubblico e buon costume, che, seppur ambigui, escludono in primo luogo forme di commercializzazione del corpo in virtù della logica della solidarietà sociale, finalizzata alla tutela innanzitutto del bene salute e al riferimento alla persona piuttosto che alla natura intrinseca del corpo, delle sue parti e dei suoi prodotti, come sottolineato anche dall'art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (2000). Sono proprio i due suddetti concetti di ordine pubblico e buon costume a fungere da "precetto" morale nella disciplina brevettuale europea sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologico, con riferimento alla Direttiva n. 98/44 del Parlamento Europeo e del Consiglio d'Europa4 che, nel precisare i limiti della brevettazione del materiale biologico con l'intento di tutelare il corpo umano da ogni forma di sfruttamento, rappresenta parte integrante del dibattitto attuale sullo statuto morale e giuridico dei bodies of law5, in riferimento anche property rights verso il corpo e le sue parti e ai valori della dignità, libertà, solidarietà ed equità.
Che la questione sia molto più complessa di quanto si potesse immaginare agli inizi di tale dibattito, tra il XIX e il XX secolo, dove il richiamo al dualismo cartesiano della rappresentazione persona-corpo sembrava uno schema affidabile e sufficiente a qualificare e delimitare i confini dell'uno e dell'altro, è cosa evidente nel dibattito contemporaneo segnato dal passaggio di paradigma dall'avere un corpo all'essere un corpo6. Le difficoltà nel considerare proprietà del soggetto quelle parti del corpo, come i campioni biologici, che possono essere considerate espressione dell'identità biologica del soggetto dal quale provengono, in quanto non "autonome o riproducibili"7, non sono poche e, adottando il modello proprietario, per cui il campione biologico una volta separato dal corpo viene visto come un "bene mobile" e quindi oggetto di proprietà alla stregua di qualsiasi altro bene, diventa ancor più problematico definire la titolarità del diritto di proprietà del bene stesso e dei diritti della persona ad esso connessi8. Ne deriva che il fenomeno della "scomposizione del corpo" è quello che oggi, da un lato, si coglie con maggiore tangibilità a partire dallo scambio e dall'uso sempre crescente di campioni biologici o prodotti del corpo, quali gameti, sangue, cellule, tessuti, depositati nelle cosiddette biobanche, fino alle pratiche e agli atti di disposizione del corpo e alle richieste in aumento di riconoscimento dei brevetti biotecnologici; dall'altro lato tale fenomeno si è rivelato estremamente complesso e sfuggente alle categorie giuridiche tradizionali, sempre più pressate dall'esigenza di fornire risposte e soluzioni per regolamentare l'enorme flusso di materiali e informazioni derivanti dalla rivoluzione biotecnologica e dalle operazioni di mercato connesse al valore assunto dal cosiddetto biocapitale9. Le maggiori criticità risiedono nel ritenere che la nozione di proprietà in sé possa qualificare lo statuto giuridico del campione biologico, o più in generale le parti separate dal corpo, perché ciò impone di considerare la legittimità dei diritti di proprietà e degli interessi ad essi connessi a partire dalla presa d'atto della dissoluzione dei confini tra res e persona, vale a dire tra proprietà e personalità, affinché si possa inquadrare ontologicamente la "pretesa" a controllare quel bene10. La questione si complica ulteriormente se si considera anche il fatto che i campioni biologici oggi non sono più visti solo come "cose" fisiche, ma come "beni" fisici contenenti dati e informazioni personali e in quanto tali tutelati, come è noto, da norme e regole inerenti i diritti fondamentali della persona quali il diritto alla salute, alla riservatezza e il diritto all'autodeterminazione.
Nel momento in cui le possibilità e opportunità di intervenire direttamente sul corpo e le sue parti, isolandole, manipolandole e conservandole, hanno mostrato la stretta connessione ad un fine duplice, vale a dire l'utilizzo del materiale biologico per scopi di ricerca e la libertà di disporre del proprio corpo e delle sue parti a scopo di profitto, questo fenomeno ha chiamato in causa, in particolare nelle vicende giudiziarie dell'ultimo ventennio, non solo il modello proprietario, ma anche il paradigma della dignità umana e dell'integrità della persona in relazione alle realtà biologiche, in quanto la realizzazione e invenzione di entità biologiche, o perlomeno l'uso del corpo e delle sue parti, hanno determinato un progressivo cambiamento concettuale e normativo, circa la definizione dello statuto etico-giuridico del corpo umano e della proprietà delle sue parti, la cui discussione è divenuta imprescindibile nel dibattito etico e giusfilosofico contemporaneo.
Il corpo, nella sua relazione con la scienza, il diritto e il mercato, si è così candidato alla titolarità di un complesso catalogo di libertà e diritti, che hanno trovato un primo tentativo di sistemazione nelle Carte e Dichiarazioni dei diritti fondamentali e in modo più esigibile nella regolamentazione biogiuridica europea e internazionale. Tuttavia, a fronte delle controversie e dei dilemmi etico-giuridici emergenti, si avverte sempre più l'esigenza di fare chiarezza sullo statuto ontologico dei diritti, delle libertà sul e del corpo, degli interessi della scienza e della persona, sullo sfondo della imprescindibilità del riconoscimento del principio della dignità umana e del diritto all'integrità della persona. In particolare, è proprio il rapporto tra diritto e proprietà in relazione alla materia vivente ad essere in discussione, e nello specifico è il modello antropologico "proprietario" che va ricompreso nelle sue pretese fondazionali, alla luce delle controversie etiche e giusfilosofiche sorte a seguito delle innovazioni tecno-scientifiche e delle invenzioni biotecnologiche.
2. Proprietà del corpo e delle sue parti tra principi, regole e brevetti
L'interpretazione del concetto di proprietà in relazione ai principi di dignità, libertà, solidarietà ed equità gioca un ruolo fondamentale sulle modalità tramite cui il diritto si è evoluto in tema di giuridificazione del corpo e definizione del diritto e dei diritti di proprietà ad esso relativi. In quest'ottica, le dottrine giusfilosofiche sono chiamate a tornare dentro la questione dell'appartenenza del corpo tra diritti della personalità e diritti della proprietà, a fronte dell'inadeguatezza dei criteri decisionali adottati nelle controversie dell'ultimo ventennio che, in ultima istanza, hanno mostrato una sostanziale debolezza normativa circa la comprensione e la portata dello statuto ontologico dei diritti di proprietà relativi al corpo e alle sue parti e la giustificazione delle possibili forme di regolamentazione11. Lo scenario giuridico attuale si è orientato, in taluni casi, su forme di regolamentazione contraddistinte da un eccessivo ricorso al divieto e alla moratoria circa l'utilizzo del corpo e delle sue parti, mentre per altri versi sono state introdotte forme di donazione prive di un inquadramento giuridico opportunamente strutturato in termini di tutele e garanzie, di cui la c.d. donazione "samaritana" costituisce l'esempio più recente nell'ambito dei trapianti di organi12. Comprendere quali ragioni siano alla base degli esiti contradditori e talvolta fuorvianti della regolamentazione di tale materia è un aspetto decisivo per riuscire non solo a qualificare la relazione tra il corpo e le sue parti, ma a definire altresì un framework normativo all'altezza dei problemi emergenti, in termini di principi, norme giuridiche e approcci giurisprudenziali.
Nel dibattito dell'ultimo ventennio le corti e gli ordinamenti giuridici, chiamati a pronunciarsi sui temi in discussione, hanno tendenzialmente reagito alla inadeguatezza degli istituti e dei dispositivi giuridici vigenti agganciando il concetto filosofico-giuridico di proprietà alle nozioni di libertà e dignità, dinanzi all'esigenza di dover decidere se e in che misura gli individui possono disporre del proprio corpo e delle sue parti, a fini di ricerca o a fini di profitto, oppure cederne il controllo a terzi per i medesimi fini. Qui le posizioni emerse in funzione delle molteplici relazioni che legano la persona al proprio corpo si caratterizzano per un significativo tasso di contraddittorietà, incoerenza e diversità di approcci, sebbene sia emerso anche un elemento comune dovuto alle misure precauzionali messe in atto per evitare di esporre l'individuo a rischi di commodification13 del corpo umano. Se da un lato lo statuto ontologico della corporeità è difficilmente riconducibile ad una interpretazione unitaria, tanto dal punto di vista dogmatico quanto dal punto di vista normativo, dall'altro lato l'inquadramento del rapporto persona-corpo ha trovato una sorta di assestamento tramite il principio personalista e il costante riferimento ai valori della dignità della persona e alla tutela della sua "identità", seppure né il legislatore nazionale né tantomeno quello europeo hanno assunto posizioni chiare in materia; invece la distinzione "corpo soggetto" e "corpo oggetto" si è configurata evocando, in ultimo, il ricorso al modello proprietario che, mediante modalità e approcci diversi e talvolta contrastanti, basti pensare alle differenze che in materia intercorrono tra il contesto americano e quello europeo, non si è preoccupato di inquadrare dogmaticamente i property rights nelle relazioni e atti che lo stesso consente di realizzare14.
Nella sentenza del 1908 relativa al caso di Doodeward v. Spence la High Court australiana sosteneva che il corpo umano, o una parte di esso, poteva diventare, dal punto di vista giuridico, oggetto di proprietà di colui al quale appartiene. Nel suddetto caso la Corte aveva applicato il ragionamento lockiano secondo il quale:
"Sebbene la terra e tutte le creature inferiori siano comuni a tutti gli uomini, pure ognuno ha la proprietà della propria persona, alla quale ha diritto nessun altro che lui. Il lavoro del suo corpo e l'opera delle sue mani possiamo dire che sono propriamente suoi. A tutte quelle cose dunque che egli trae dallo stato in cui la natura le ha prodotte e lasciate, egli ha congiunto il proprio lavoro, e cioè unito qualcosa che gli è proprio, e con ciò le rende proprietà sua. Poiché son rimosse da lui dallo stato comune in cui la natura le ha poste, esse, mediante il suo lavoro, hanno, connesso con sé, qualcosa che esclude il diritto comune di altri. Infatti, poiché questo lavoro è proprietà incontestabile del lavoratore, nessun altro che lui può avere diritto a ciò ch'è stato aggiunto mediante esso, almeno quando siano lasciate in comune per gli altri cose sufficienti e altrettanto buone"15.
La Corte d'appello inglese nel 1997 applicò questa linea di ragionamento al caso di R v. Kelly e R v. Lindsay per decretare la non proprietà nel corpo e nelle sue parti laddove queste non erano state alterate con il lavoro di qualcuno che le avrebbe rese di proprietà, tracciando così una linea di continuità di principio con il ragionamento sotteso alla sentenza australiana. Il sistema dei brevetti ha sancito definitivamente l'affermarsi di questa logica, originatosi proprio dall'idea di ricompensare gli sforzi innovativi e creativi mediante il riconoscimento dei cosiddetti intellectual property rights16 nella forma di brevetti biotecnologici, la cui creazione deriva in qualche modo da un grado di sforzo e di invenzione dell'essere umano, dello scienziato, come nel noto e si potrebbe dire pionieristico caso Diamond v. Chakrabarty (1980)17.
Alla fine degli anni Ottanta già diverse sentenze delle Corti statunitensi avevano espresso un parere favorevole al rifiuto di una presunzione della proprietà sul corpo dinanzi a casi controversi, che avevano segnalato la mancanza di un quadro di principi e norme coerenti in grado di governare con equilibrio gli interessi dei singoli e della società sul corpo e sulle sue parti, come accade con la nota sentenza Moore v. Regents (1990), dove si nega il riconoscimento al soggetto della titolarità dei diritti di proprietà sul proprio corpo e sulle sue parti, nella fattispecie sulla sua milza contenente una linea cellulare particolarmente rara, mentre si concede il riconoscimento del brevetto a coloro che avevano derivato nuove invenzioni dallo studio delle linee cellulari generate dalla milza del signor Moore.
I suddetti casi, oramai divenuti paradigmatici, mostrano, per certi versi, esiti incoerenti, riconducibili non solo al riconoscimento o meno dell'esistenza della nozione di proprietà accanto alle nozioni di libertà e autodeterminazione, ma anche all'ambiguità e non chiarezza dei criteri e parametri di giudizio adottati dinanzi ai rapporti tra queste nozioni, per cui si assegna al corpo uno stato giuridico di titolarità di diritti e simultaneamente gli si attribuisce lo status di oggetto di proprietà e di contratto. Ciò è accaduto non solo per il caso Moore, ma anche per altri casi statunitensi recenti, quali Greenberg v. Miami Children's Hospital (2003) e Washington University v. Catalona (2005)18, dove è stata in parte affrontata la questione dello statuto giuridico dei campioni biologici impiegati ai fini di ricerca. In realtà soltanto il più recente caso Washington University v. Catalona (437 F. Supp. 2d 985 E.D. Missouri 2006) si è occupato propriamente dello statuto giuridico dei c.d. raw materials volontariamente donati, in quanto i precedenti casi Moore v. Regents e Greenberg v. Miami Children's Hospital, pur avendo trattato del tema, si sono poi concentrati sul profilo della trasformazione del materiale grezzo e della sua commercializzazione mediante brevetto.
Ad ogni modo anche dai casi più recenti emerge una contraddizione di fondo: da un lato, vi è una tutela giuridica che fa capo a una dottrina molto estesa e diffusa circa la protezione accordata alla proprietà intellettuale del corpo e alle modalità di concessione dei brevetti sui geni o su linee cellulari da parte di scienziati, enti di ricerca, università o enti privati, dall'altro lato vi è una scarsità di tutele e garanzie per quel che concerne il corpo come "materiale grezzo" verso cui il soggetto rivendica forme di controllo. Approssimativamente una delle ragioni di tale situazione viene rintracciata nella distinzione, poco funzionale in termini giustificativi, tra parti fisiche del corpo e proprietà intellettuale del corpo, per cui le parti (fisiche) del corpo sono viste come materia grezza, mentre i geni o le linee cellulari sono qualificati come materia da lavorare attraverso l'uso della tecnica19. Nello specifico, i casi sopra menzionati mettono in evidenza una fallacia nei diversi paradigmi giusfilosofici adottati alla base delle pronunce e decisioni giurisprudenziali: il corpo in sé non è trattato come proprietà, ma poi la logica delle scelte e decisioni delle corti, che esplicitamente dichiarano come il corpo non sia proprietà privata in possesso dei soggetti querelanti, è quella di trattare le parti staccate dal corpo tramite la categoria della proprietà, in quanto suscettibili di essere catturate da chi ne coglie il valore commerciale e produttivo, a difesa dell'azione e dell'operato degli scienziati, che nel caso Moore avevano creato la Mo cell line e nel caso Greenberg avevano isolato il gene della Canavan's disease20. In poche parole, "configurando gli usi secondari come una contrapposizione tra privacy e proprietà", la Corte californiana "ha generato il doppio destino dei materiali biologici, ambiguamente concepiti sotto il segno dell'autonomia, ma anche della volontà implicita di abbandono (res derelictae), per chi li dona; e come res nullius, e possibile sostrato di un'opera dell'ingegno brevettabile, per chi li acquisisce"21.
Nel caso Moore la Corte sottolinea una distinzione tra il punto di vista materiale e quello legale, vale a dire tra il tessuto e la successiva creazione della linea cellulare, per poi riconoscere che la proprietà immateriale viene legittimamente attribuita mediante brevetto all'autore dell' "invenzione", senza considerare che il medesimo argomento lo si può applicare anche alla questione dell' "autore" del materiale biologico originario. La Corte invece nega che il signor Moore possa vantare diritti di proprietà sul suo materiale biologico, assegnando tale diritto ai ricercatori e riconoscendo al paziente solo l'esercizio del suo diritto all'autodeterminazione mediante il consenso informato22.
3. Profili etici e giusfilosofici
Le suddette pronunce mostrano più o meno esplicitamente come le soluzioni adottate sino ad oggi circa le ricerche sui materiali biologici rimangono parziali e le argomentazioni addotte non appaiono del tutto soddisfacenti rispetto alla questione etica e giusfilosofica di definire lo statuto del corpo nella relazione con le sue componenti e individuare modelli normativi per regolarne i rapporti con l'individuo e la società.
La distinzione tra ciò che è materia grezza e ciò che invece ricade nell'ambito della proprietà intellettuale è servita in taluni casi e contesti a giustificare la diversità di statuto del regime proprietario da applicare al corpo e alle sue parti, ma non può essere ritenuta una soluzione adeguata a fornire supporto a strumenti normativi su questi temi. D'altra parte, il valore utilitaristico e commerciale dei materiali biologici appare di gran lunga dominante nell'evoluzione dei rapporti tra scienza e diritto rispetto alle titolarità di interessi e valori rivendicati dal soggetto che possiede il corpo e le sue parti, perlomeno nel contesto americano dove sembra prevalere l'interesse dell'opera scientifica e commerciale, e solo in alcuni casi i brevetti biotecnologici rimangono "proprietà comune" tra l'individuo, da cui provengono le componenti biologiche, la comunità scientifica e la sfera commerciale o industriale. Il caso Greenberg dimostra, a riguardo, come anche l'ipotesi sempre più frequente di una compartecipazione attiva dei donatori, basata sullo strumento del consenso e, dunque, sulla volontaria donazione dei propri tessuti al fine di realizzare un "progetto comune", rilevi numerosi problemi quando non siano chiaramente definite le posizioni delle parti23.
Le corti, argomentando sui casi Moore e Greenberg, sottolineano che il paziente/donatore non può esercitare alcun diritto di proprietà sulle proprie parti del corpo, una volta che esse, dopo il distacco, siano state destinate alla ricerca medica, al fine di garantire il buon funzionamento delle biobanche e delle ricerche. In tal senso, anche quest'ultima pronuncia dimostra come le corti americane abbiano privilegiato il modello proprietario facendo pendere l'ago della bilancia esclusivamente dalla parte della ricerca e, dunque, del mercato biotecnologico, ma ciò non può essere considerato un modello condivisibile ai fini di un contemperamento degli interessi in conflitto. D'altra parte la tensione costante del dibattito su questi temi è dovuta proprio all'opportunità o meno di continuare ad estendere il discorso proprietario al corpo e alle sue componenti, laddove le vicende giudiziarie menzionate hanno evidenziato le lacune e insufficienze normative derivate dall'applicazione e interpretazione delle "ontologie proprietarie" materiali e intellettuali, mediante le forme del dono, del brevetto e dell'abbandono (res derelictae).
Il contesto europeo non è esente dalle problematiche che conseguono se si fa derivare la qualificazione normativa della categorie dei diritti individuali dal modello del diritto di proprietà e si è trovato ad affrontare diverse controversie giudiziarie negli ultimi anni, ma con un atteggiamento molto più cauto verso il linguaggio proprietario rispetto a quello adottato nel contesto statunitense. La Corte di Giustizia dell'UE ha espressamente riconosciuto che il diritto all'integrità umana include il diritto della persona di poter esprimere il proprio consenso libero e informato all'uso del suo materiale biologico e delle sue parti del corpo, in armonia con l'art. 3 della Carta europea dei diritti fondamentali; d'altra parte, però, ha respinto la rilevanza di questo diritto dinanzi alle questioni legate alla brevettabilità, vale a dire che questo diritto sarebbe mal posto se interpretato contro la direttiva europea sui brevetti biotecnologici (98/44/EC), in particolare per quel che riguarda l'attività di ricerca scientifica e l'uso di brevetti, rispetto ai quali le recenti vicende del caso Oliver Brüstle v. Greenpeace danno conto di una situazione normativa alquanto confusa e ambigua24.
Sebbene, ad esempio, la Corte di Giustizia dell'UE abbia di recente ristretto l'ambito di protezione dei brevetti sui geni (Monsanto v. Cefetra)25, per cui i gene patents possono essere estesi solo a sequenze di geni in grado di mostrare potenzialità funzionali allo scopo per cui sono stati brevettati, tuttavia ciò non impedisce a colui che detiene il brevetto di rafforzare i suoi diritti di esclusiva in modo che l'accesso alle sue invenzioni sia il più possibile ristretto. A riguardo, giova sottolineare, che il diritto alla salute in quanto diritto (umano) fondamentale della persona richiede che i brevetti biotecnologici non siano strumentalizzazioni al fine di impedire ai cittadini un equo e ragionevole accesso in termini di assistenza e cure, per cui non pare fuori luogo sostenere che rientra nel potenziale trasformativo dei diritti umani restringere l'esercizio dell'esclusiva brevettuale nel rendere certe componenti del corpo umano a disposizione del bene comune, come pubblica proprietà, cui si oppone un ragionevole diritto di accesso pubblico. Nel connettere e intrecciare interessi di natura privata e pubblica il brevetto assume un ruolo strategico, tant'è vero che la difficoltà e allo stesso tempo la debolezza normativa di questo strumento risiede proprio nelle conseguenze della sua applicazione in termini di (mancato) bilanciamento di interessi. In quest'ottica la Direttiva del 2004/23/UE intendeva regolamentare l'azione del mercato nell'ambito degli usi terapeutici dei tessuti umani e della loro trasformazione in prodotti farmaceutici26, nel rapporto con lo spazio sociale e civico che avrebbe dovuto essere contraddistinto dalla coproduzione e integrazione, ma che in ultima istanza si è configurato secondo due categorie separate, quella dei cittadini tenuti a donare gratuitamente e per fini solidali i loro tessuti e quella dell'industria farmaceutica che immette i prodotti sul mercato. Se i principi di dignità, solidarietà e gratuità dovevano ridisegnare la filosofia del corpo politico europeo e definire l'identità del "cittadino-donatore europeo", di fatto, la situazione negli ultimi dieci anni si è evoluta diversamente perché a fronte dell'altruismo solidale dei cittadini si è assistito allo sviluppo di un mercato farmaceutico e biotecnologico competitivo da cui l'individuo, a partire dall'atto della donazione, viene espropriato per poi essere riabilitato come "soggetto consumatore" di terapie avanzate.
Ciò impone un ripensamento dell'applicazione del modello proprietario le cui ricadute sono evidenti anche a livello comunitario, dove il regime brevettuale offre tutele limitate alla persona, in considerazione della rilevanza dei principi del rispetto della dignità e integrità umana propagandata dal Consiglio d'Europa in tema di diritti umani e biomedicina. Inoltre il richiamo ai diritti fondamentali della persona in questo ambito dovrebbe incrementare altresì il dibattito sui moral intellectual property rights, spostando l'asse delle questioni dalla tecnica in sé, ovvero dall'invenzione e sua relativa applicazione, alle implicazioni sulle tutele e garanzie dei diritti e interessi legati al corpo e alle sue componenti27.
4. Considerazioni conclusive: alcuni (non) argomenti circa la giustificazione dei property rights
In termini normativi la giustificazione dei property rights come body rights viene tendenzialmente ricondotta a posizioni divise sul fatto di rintracciare la ragion d'essere di tali diritti in funzione di interessi o individuali o collettivi28. I property rights in alcune situazioni sono tali da tutelare interessi di tipo individuale, la cui rilevanza è incompatibile con il loro essere massimizzati e aggregati in modo interpersonale, invece in altre circostanze questi diritti sono semplicemente strumentali al fatto di assicurare la tutela di interessi collettivi, vale a dire benefici che servono per promuovere una sorta di benessere collettivo, come ad esempio l'avanzamento della ricerca scientifica. Certi diritti di proprietà riguardanti il corpo sono riconducibili prevalentemente a interessi di tipo individuale, si pensi al diritto di autodeterminazione per quel che concerne le scelte di fine vita sull'interruzione o non attivazione di cure e trattamenti salvavita. Tuttavia vi sono anche diritti di proprietà concernenti il corpo e le sue componenti non riconducibile né totalmente nell'alveo degli interessi individuali né in quello degli interessi collettivi, si pensi alla pratica della gestazione per altri in cui l'utilizzo del corpo può rispondere ad un interesse tanto individuale (ottenere un compenso) quanto collettivo (far fronte al problema della sterilità). Ciò detto nulla rileva al fine di giustificare la nozione di proprietà da un punto di vista morale e normativo, vale a dire la sua funzione prescrittiva nel configurare diritti e interessi verso il corpo e le sue parti. D'altra parte non è neppure possibile accettare la nozione di proprietà come semplicemente assunta nella giustificazione dei diritti del corpo come diritti di proprietà, dal momento che i diritti del corpo hanno a che fare con ragioni sia individuali che collettive, o per meglio dire con interessi di entrambe le nature: sullo sfondo della cultura e retorica neoliberale questi diritti intersecano anche ragioni consequenzialiste o comunitariste e non necessariamente sono riconducibili entro i soli confini della tradizione neoliberale. Peraltro molti diritti del corpo in quanto diritti di proprietà sarebbero meglio giustificati se funzionali a interessi collettivi piuttosto che individuali, vale a dire nell'ottica dei risultati che producono per la più ampia comunità di cui l'individuo è parte.
Un ulteriore argomento a supporto dell'estensione della logica proprietaria al corpo e alle sue parti è quello che si rifà alla scarsità di risorse, poiché dove non c'è abbastanza di un bene perché tutti possano averne, non può essere vero che tutti hanno diritto a riceverne una parte uguale29. Infatti coloro che continuano ad invocare l'applicazione del modello proprietario ritengono, in un'ottica strumentale, che tale approccio sia l'unico in grado di assicurare in maniera stabile il controllo e la gestione di risorse scarse e di così vitale importanza in quanto, pur riconoscendo le attuali difficoltà legate alla regolamentazione normativa del corpo e dei materiali biologici, il ricorso a tale paradigma se perfezionato permetterà di far riferimento ad un assetto di regole ben definito, in grado non soltanto di dirimere situazioni di conflitto su quali diritti si trasferiscano e quali no, ma anche di individuare gli strumenti di tutela necessari a risolvere alcune delle problematiche che il modello del consenso informato da solo non sarebbe in grado di risolvere.
Di certo il tema della scarsità di risorse condiziona da vicino la normativa sui diritti di proprietà e ha avuto ripercussioni anche sulle argomentazioni adottate dalle varie corti per attribuire o meno garanzie di riconoscimento di tali diritti alle differenti parti chiamate in giudizio. Si pensi al caso Washington University v. Catalona dove, a fronte della richiesta del dott. Catalona di potersi riappropriare dei campioni collezionati attraverso donazioni dei pazienti per trasferirli in un'altra Università e servirsene a suo piacimento, la Washington University avanzava un diritto di proprietà su questo stesso materiale, anche in relazione alla limitata disponibilità di questa tipologia di campioni. La Corte, nel dichiarare che quando un paziente ha donato il materiale ha anche trasferito i suoi titoli di proprietà, riconosce la Washington University quale legittima proprietaria, anche se va detto che la dottrina si è divisa sul caso Catalona non in relazione alla proprietà in sé, ma proprio sulla questione di individuare il legittimo proprietario.
Considerati i suddetti limiti e le criticità emerse nell'inquadramento normativo di questa materia, la logica delle categorie proprietarie applicate al corpo impone un ripensamento fondazionale in ragione del fatto che il diritto di proprietà, che si applica a oggetti e beni materiali immobili come l'automobile e il denaro, ha prodotto sino ad oggi esiti incoerenti e contraddittori nel "non giustificare" il rapporto tra l'individuo e le sue componenti biologiche. Il modello proprietario non si è rivelato affatto dirimente nella comprensione dei significati inerenti il controllo del nostro corpo e delle sue parti e per superare la semplicistica interpretazione che vede schierati da un lato il soggetto che decide e dall'altro lato l'oggetto di cui si vuole disporre. Ripensare il principio del controllo del proprio corpo significa dunque ripensare anche la natura relazionale, ambigua e complessa, con i valori dell'autonomia e dell'autodeterminazione personale e con il riconoscimento dei doveri che chiamano in causa il ruolo della società e delle istituzioni, poiché il corpo non è solo una dimensione intima e personale, ma è anche ciò che ci rappresenta nella società con altri ed è pertanto soggetto a pratiche, interpretazioni, doveri e responsabilità connessi alla sua dimensione pubblica e sociale. Ne deriva che "(...) sarebbe mistificatorio relegare le questioni implicate a meri problemi di etica individuale o di "coscienza". Quello che facciamo dei nostri corpi, come li trattiamo e il modo in cui ne parliamo decidono in fin dei conti il tipo di società in cui vogliamo vivere e il tipo di relazioni che vogliamo avere con le altre persone"30. Le cose si complicano e le difficoltà emergono quando si ragiona sulle politiche e sul diritto che una società democratica dovrebbe attuare per garantire e applicare il principio del controllo sul corpo e sulle sue parti proprio perché la questione verte attorno alla ricerca di un equilibrio continuamente minacciato dal rischio di rimozione della necessaria dimensione pubblica e responsabilità sociale, circa il trattamento che vogliamo riservare ai nostri corpi e alle loro parti, per privilegiare interessi e relazioni di natura privata.